La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole può dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore [...], non può essere che l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina d’un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche.
Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele
La carta è un medium che ambisce alla bidimensionalità, un parametro inarrivabile per ogni oggetto concreto: la linea che tracciamo sul foglio evade la profondità solo illusoriamente. Ho voluto omaggiare la terza dimensione della carta, spesso trascurata, attraverso la stratificazione e la sovrapposizione; del resto, i fogli tendono ad essere assembrati in volumi (parola molto vicina alla tridimensionalità, forse non casualmente), il cui spessore non può essere messo in discussione. La mia carta, con la quale ho lavorato sin dagli albori della mia carriera, è priva dell’inchiostro che costituisce il vero veicolo di conoscenza. Nella diatriba socratica tra scrittura come veleno o come cura per la memoria, il materiale da me scavato sospende il giudizio. La mia carta è il ricordo di un rudere che una volta era il fulcro di un microcosmo curtense, come in Extra Muros, la debole traccia che i gesti quotidiani ormai meccanici lasciano nelle nostre coscienze, come in Pure Morning, o la traccia concreta ma indecifrabile del volto di uno sconosciuto catturato inconsapevolmente in una foto ricordo. Come fogli senza inchiostro, questi residui di conoscenza, abbarbicati disperatamente ai nostri ricordi, non sembrano poter veicolare alcun messaggio che non sia la loro disperata esistenza. Ma voglio difendere questa Babele paradossalmente priva di parole: e allora incido, scavo, sovrappongo.