di Matteo Galbiati
ESPOARTE (ONLINE) - 20 GENNAIO 2017
Lo Spazio Aperto San Fedele della Galleria San Fedele di Milano accoglie, per la mostra personale di Giorgio Tentolini (1978), una serie completamente inedita di suoi lavori che riflettono sul tema, come preannunciato
dal titolo, delle Iconoclastie.
L’artista, dopo aver partecipato ad alcune edizioni Premio Arti Visive San Fedele e aver vinto nel 2011-2012 il Premio Paolo Rigamonti, ha predisposto per la galleria queste nuove opere intitolate Degenere, Iconoclaste, Incongrue, Vulnerabili e Reduci: esempio ciascuna delle diverse tecniche sviluppate negli anni dall’artista, portano attenzione su quei capolavori dell’arte e dell’architettura danneggiati o completamente distrutti nei secoli.
Il racconto di Tentolini riproduce immagini, labili e inconsistenti, friabili e incorporee, di testimonianze artistiche, del genio espressivo umano e della sua storia passata, che sono state
cancellate per sempre da guerre o da calamità naturali, da eventi politici o sociali, da religioni trasformate in ideologie o censure, da rivolte o incidenti.
Eventi che, pur diversi nelle intenzioni e nell’accadimento, hanno
segnato un destino di perdita e di
ferita e che, tanto per caso quanto per volontà, hanno condannato
inevitabilmente all’oblio perenne una parte dell’immenso patrimonio della cultura dell’uomo.
Le ombre vitree o frantumate dei lavori di Tentolini accompagnano lo spettatore a recuperare
il ricordo, la memoria e le tracce disperse di quei capolavori del genio umano, di cui gli uomini hanno spesso assistito, impotenti o correi, all’irreparabile distruzione e perdita,
negandone la trasmissione ai
posteri.
Tentolini riprende con i suoi mezzi espressivi l’affermazione di quelle storie di bellezza
interrotte che, spezzata e spenta, annullata o cancellata per sempre l’eredità, per colpa o per destino, riporta ora alla vita e all’ammirazione lo splendore ora incompiuto e indefinibile di questi beni.
Lo fa oggi quando la necessità di bello deve essere una risposta ancora plausibile alle immani tragedie che ci autoinfliggiamo o che ci
colpiscono, un motivo per cui la pienezza della
vita – anche con i suoi mali – resterà ancora possibile nella memoria di nuovi
tempi e nuove epoce.
Senza perdere il senso della propria storia, la stessa memoria di quell’arte scomparsa,
proprio come la delicatezza di un ricordo, rivive nelle tracce delle immagini proposte dalle opere di Tentolini, rievocando oggi tutto il suo splendore struggente e la sua fragile potenza.
di KEVIN McMANUS
espoarte (online) - 4 FEBBRAIO 2017
Prosegue una delle nuove iniziative ricorrenti della Galleria San Fedele, la serie di mostre personali dedicate ad artisti giovani ma non troppo (per lo più over-35) che hanno avuto una presenza significativa nella storia
del Premio San Fedele dalla sua ripresa di inizio millennio ad oggi.
In questo caso, lo Spazio Aperto San Fedele (spazio del foyer del teatro-cinema), con la sua articolazione logistica complessa e stimolante,
ospita Giorgio Tentolini, protagonista di alcune notevoli partecipazioni al premio negli anni passati, e artista capace di
affermarsi nel panorama odierno con una ricerca rigorosa, inventiva e personale. Nella piccola rassegna, curata da Matteo Galbiati e costituita interamente da opere realizzate ad
hoc, appare evidente fin dal primo sguardo il carattere di fondo di Tentolini:
un’umiltà che non scade mai nell’impersonalità; oppure, se vogliamo capovolgere il concetto, una spiccata individualità che non scade mai nell’affermazione di un “marchio di fabbrica” furbescamente
moltiplicabile.
Ogni artista vive di un’ossessione, anche piccola, e quella di Tentolini, forse inconscia, ha
qualcosa a che fare con il vuoto, con il levare. Con quest’ultimo termine non intendo solamente
rievocare la pratica della scultura “in
negativo”, consacrata dalla poetica michelangiolesca, ma soprattutto chiamare in
causa il ritmo metrico della musica. Si tratta, certo, di un riferimento empatico, più che strutturale, all’accento posto, visivamente, sulla parte debole della superficie lavorata. In questo senso, l’artista attraversa più volte, e a senso alternato, i
confini tra i vari mezzi espressivi.
Come detto più volte, la storia della decostruzione di questi confini è ampia e variegata, e numerosi sono oggi gli artisti che ne sfruttano, anche in
modi estremamente efficaci, le conseguenze. Il caso di Tentolini mi sembra però di particolare interesse, poiché qui il rapporto tra i mezzi è posto come problema, e ciò che delle tecniche tradizionali rimane è fatto risuonare nei vuoti creati appunto dal
“levare”.
Il titolo della mostra, Iconoclastie, richiama appunto a questa pienezza del vuoto (o positività del negativo): l’artista si concentra su alcuni fenomeni di distruzione dell’immagine da parte di agenti
umani (i nazisti, Daesh, i Talebani, la censura) o naturali (il tempo che logora, le calamità). Se è vero, come sostiene W.J.T. Mitchell, che la vera
iconosclastia è in realtà una forma di idolatria – l’esaltazione dell’immagine della distruzione, o di quella del contesto violato dall’assenza – Tentolini svuota con semplicità disarmante proprio l’elemento spettacolare, iconico della distruzione, che sia essa o meno progettata come
nuova immagine.
I “vuoti” delle raffinatissime carte Iconoclaste, ad esempio, recuperano il respiro dell’immagine distrutta e al tempo stesso riescono
a negare lo statuto di immagine
completa, “risolta” alla foto di partenza, che ritrae il gesto iconoclasta: a
vincere, nella forza del primario contrasto di vuoto e pieno, che qui diventa nero e bianco, è l’immagine della statua, quella capace di esercitare una tale forza sull’osservatore da “meritarsi”
la distruzione. Così che pur nella perdita del corpo dell’opera, del suo valore materiale, quello di “testimonianza di civiltà” (come recita il nostro
codice dei beni culturali) rimane perpetuato, pur nella fragilità del materiale e nella minimalità del gesto di ritaglio. Nel concentrarsi sulla scomparsa dell’immagine, insomma, Tentolini sembra quasi riconoscervi
la sopravvivenza di un’anima, che è a sua volta immagine, ma immagine,
appunto, in levare, immagine che nel vuoto trova quell’eternità che il pieno, fatto com’è di particelle di materia, non può
garantirle.
Così le strisce di carta passata al tritacarte che compongono Reduci vanno a costituire la struttura fragile, penetrabile di un fantasma, mentre le Incongrue, “ombre” delle opere di Pontormo per San Lorenzo distrutte dalla censura ecclesiastica nel ‘700,
realizzate con la tecnica più collaudata di Tentolini (la sovrapposizione di strati di fibra) a partire da schizzi preparatori, tramandano ai posteri un documento impossibile, per il quale la mediazione è talmente preponderante da minacciare la visibilità stessa del contenuto, che così trova però nuova vita dopo la morte.
Come in tutte le mostre nel foyer, gli spazi offrono un’ambientazione rigorosa e ben
scandita, e un dialogo fertile tra le opere, la cui biancheggiante eleganza emerge in tutta la sua poesia.
Degenere, 2017
stampa su garza scomposta, 40x60 cm
[riferimento: Ernst Ludwig Kirchner, Study On Red Tart, 1914 distrutta dai nazisti come opera ritenuta degenere]
Incongrue, 2016-17
cinque strati di rete in fibra intagliata a mano, serie di 2, 225x100 cm ciascuna
[riferimento: gli schizzi preparatori di Pontormo per il coro della basilica di San Lorenzo realizzati tra il 1546 e il 1556, distrutti per le connotazioni religiose non ortodosse verso il 1738]
Vulnerabili, 2016-17
stampa laser su circa 5400 strisciline di carta bianca, serie di 3, 110x52 cm ciascuna
[riferimento: Antonello da Saliba, Madonna con bambino; Bronzino, Crocifisso; Marco Basaiti, Pietà. Opere distrutte durante l’incendio della della Flakturm Friedrichshain nel maggio 1945]
Reduci, 2017
stampa laser su carta bianca decomposta tramite distruggi documenti, serie di 4, 200x50 cm ciascuna
[riferimento: il Memoriale di Hiroshima resistito alla bomba nucleare del 1945; il Campanile di Pirago, frazione di Longarone, resistito al disastro del Vajont del 9 ottobre 1963; Torre dell’orologio (o dei modenesi) a Finale Emilia, resistita per metà, e poi distrutta, al terremoto del 2012; Facciata della Basilica di San Benedetto a Norcia, resistita al terremoto del 2016]
Iconoclaste, 2016
carta pergamena bianca intagliata e sovrapposta a fondale nero, serie di 6, 18x26 ciascuna
[riferimento: fotogrammi dei video ripresi durante la distruzione del Museo di Mosul ad opera dei seguaci dell’ISIS e immagini da Google di un bombardamento ad Aleppo]