L'OMBRA DELLA LUCE

a cura di Alberto Mattia Martini

dal 28 settembre al 26 ottobre 2024

Galleria Quam - Scicli (RG)

 

 

La mostra L'Ombra della Luce di Giorgio Tentolini, il cui titolo è suggestionato dall'omonima celebre canzone di Franco Battiato, è un viaggio attraverso la dualità fondamentale della nostra esistenza: la luce e l'ombra, dicotomie simbolicamente entrambe presenti nell'uomo e fondamentali per poter comprendere la nostra identità ed indagare il nostro animo. 

Questi due elementi, apparentemente opposti, trovano un equilibrio sottile e poetico nelle opere di Tentolini, dove la materia stessa diventa un mezzo per esplorare il loro dialogo continuo e ininterrotto. Le opere, realizzate intrecciando reti metalliche o utilizzando il tessuto in tulle, sono anche una meditazione visiva sulle contaminazioni culturali e storiche che hanno forgiato l'identità della Sicilia, terra dove il sole, la luce e l'ombra sono da sempre protagonisti assoluti. 

Tentolini con la sua tecnica raffinata e meticolosa ci presenta un intreccio di strati di reti che creano zone di chiaroscuro, simulando la danza della luce attraverso superfici traslucide. Questo processo evoca non solo la bellezza fisica, ma anche la complessità intellettuale e storica che la Sicilia incarna. La luce diventa il simbolo delle influenze che si sono susseguite sull'isola, mentre l'ombra rappresenta la storia, la memoria stratificata, i ricordi e le tracce del passato, che si sono susseguiti nel tempo e che dobbiamo sempre "tenere vivi", studiandoli, approfondendoli, trasmettendoli ai posteri in modo che non vadano dispersi e spazzati via dal vento dell'oblio. 

La Sicilia, posta al centro del Mediterraneo, è stata crocevia di popoli e civiltà, un laboratorio di sincretismo eclettico dove elementi greci, romani, arabi, normanni e bizantini si sono combinati in un tessuto culturale unico, dando vita ad un processo di fusione e sovrapposizioni di tradizioni culturali, religiose e filosofiche, che hanno appunto sempre trovato nella Sicilia terreno fertile 

In questo contesto, le opere di Tentolini riflettono la mescolanza di culture, generando un'estetica che sfida la linearità della storia per abbracciare una visione più complessa, stratificata: che potremmo definire "intrecciata", manifestandosi nella capacità di unire elementi eterogenei in un'unica visione armoniosa.  

Tuttavia nella mostra emerge un altro concetto determinante e cioè l'eclettismo, utilizzato per definire la combinazione di stili e temi diversi utili a creare qualcosa di nuovo, riflettendosi nella scelta dei materiali e nelle iconografie impiegate. 

L'eclettismo, come approccio artistico e filosofico che armonizza linguaggi espressivi e contenuti provenienti da diverse fonti, è anche un altro fondamento della produzione di Tentolini; le sue opere si nutrono di questa varietà di influenze, rievocando in alcuni casi anche i colori delle ceramiche siciliane e le sfumature naturali dei paesaggi dell'isola. 

Le opere di Tentolini, con le loro reti "ordite", sovrapposte, richiamano questa continua integrazione, offrendo una serie di volti e figure che, pur richiamando la statuaria classica o la tradizione moresca, rivelano la complessità di una bellezza che non è mai univoca, ma frutto di continue contaminazioni. 

La rete metallica, densa di significati, diviene al contempo il simbolo della gabbia e della libertà, della comunicazione globale e della tradizione locale evocando la rete internet e la comunicazione digitale, mentre il tulle, leggero e impalpabile, richiama la fragilità della memoria e l'evanescenza delle immagini visibili solo attraverso la stratificazione. 

Secondo il filosofo siciliano Empedocle, Afrodite ha forgiato i nostri occhi con i quattro elementi della cultura greca: terra, acqua, aria e fuoco, unendoli insieme grazie all’amore. La divinità accese il fuoco dell’occhio servendosi del primordiale focolare dell’universo, confinandolo con i tessuti della sfera del bulbo oculare, per poi collocare nello stesso organo dei varchi che permettevano di trasmettere il fuoco interiore, attraverso l’acqua dell’occhio, verso il mondo esterno, dando così origine alla vista1. La luce naturale non basta da sola affinché l’occhio possa vedere: la luce naturale si intreccia con la “luce della mente” attraverso l’occhio. 

La luce e lo sguardo sono elementi determinanti e direi altresì imprescindibili, anche per poter osservare e quindi comprendere le opere di Tentolini. 

La percezione muta costantemente, appunto a seconda da dove le osserviamo: in prossimità del quadro l'occhio percepisce prevalentemente la struttura materica reticolata sommaria, ma man mano che ci allontaniamo, come per incanto, con un effetto quasi optical, essa si configura andando a delineare all'interno del nostro occhio le forme ed i particolari, che compongono il soggetto creato dall'artista. Un lavoro che richiede grande maestria tecnica e notevole perizia di precisione per poter indagare ogni minimo particolare, passando costantemente dal macro al micro. 

Opere in continuo movimento, evidenziato da giochi di ombre e luce, dai riflessi della stessa sulla rete metallica: riverberi, bagliori, opacità, oscuramenti avviluppati in un intreccio costante e mai domo tra gli opposti.  

Luce esteriore, ma anche luce interiore, cioè la capacità d'immaginazione visuale formativa: una commistione, che se non avvenisse rimarrebbe solo un mistero oscuro e l’uomo non sarebbe in grado di vedere. 

Tra i lavori realizzati da Giorgio Tentolini emergono le sculture classiche e quelle della Magna Grecia, fotografate direttamente dall'artista all'interno di vari contesti museali; sono corpi e volti mediterranei, africani e normanni, o della tradizione moresca, successivamente rielaborati e ricontestualizzati. Questi riferimenti dialogano tra loro, generando una narrazione visiva che riflette la stratificazione culturale della Sicilia. Le opere esposte nella mostra evidenziano le differenti sfaccettature del sincretismo e dell'eclettismo, come appunto nella serie "Pagan Poetry", che con i suoi riferimenti all'arte greca e romana, modelli estetici per eccellenza, mette in luce come la bellezza, per essere considerata tale, spesso sia stata spersonalizzata, frutto di una combinazione di volti e fisicità differenti, giungendo così ai nostri tempi, dove "l'identità estetica" è stata a dir poco smisuratamente e patologicamente proiettata all'omologazione ed alla stereotipizzazione. Considerazioni e riflessioni prioritarie anche nella serie "In Too Deep", che utilizza l'intelligenza artificiale, servendosi del software AI text-to-image, in modo da creare volti che non esistono nella realtà, ma sono un "amalgama" di centinaia di immagini provenienti dal vasto mondo digitale; un richiamo al fenomeno del deep fake, sottolineando come il confine tra reale ed immaginario e tra vero e falso, ormai si sia pericolosamente liquefatto, come ci aveva a suo tempo avvertito anche Zygmunt Bauman. L'AI è in parte protagonista anche nella serie "L’Eclectique", per mezzo della quale l'artista ha ricreato corpi di rimando e sapore moresco. Uomini avvolti da panneggi, dediti ed impegnati nella danza, che esplorano il sincretismo caratteristico del territorio siciliano, dove da sempre si sono succedute ed intrecciate popolazioni e quindi culture provenienti da differenti paesi. Una "danza" eclettica e multiforme, nella quale si sono mescolate e successivamente armonizzati storia, miti, pensieri, saperi, espressioni artistiche ed intellettuali, ma direi anche tradizioni popolari, che spesso vengono accompagnate e si raccontano attraverso una sorta di performance, avvalendosi sia del canto che della danza. 

La mostra esplora il concetto di identità e il suo rapporto con il corpo, come nella serie "Jeune Fille", dove volti di modelle, colti nel backstage in momenti di intimità e lontano dalle passerelle, fanno emergere la loro autenticità e quindi "verità", solitamente celata dietro l'apparenza artefatta imposta dai brand. Queste giovani donne incarnano una bellezza fluida e fugace, che rincorre appunto le mode e quindi destinata a durare un periodo temporale precisamente circoscritto e limitato.  

La serie "No One" gioca invece con l'idea dell'identità disorganica nel mondo dei social, dove siamo tutti "Uno, nessuno e centomila", di pirandelliana memoria, conducendoci nelle maglie delle diverse maschere e personalità, che indossiamo a seconda dell'evenienza e dell'esigenza alla quale dobbiamo far fronte. Non siamo, ma appariamo come ciò che ci viene richiesto, o meglio ci proponiamo in perfetta conformità con il trend del momento. 

L'utilizzo eccessivo del digitale assume le vesti da protagonista anche nel ciclo "Lapse": particolari ingranditi di volti simboleggianti idealmente la nostra attenzione, che purtroppo risulta essere sempre più a breve termine, procurando soprattutto nelle generazioni più giovani, gravi disturbi dell'attenzione, senso di disagio e difficoltà relazionali, quando non addirittura problematicità nella ripartizione tra vita reale e quella virtuale. 

Queste opere sembrano catturare l'essenza dell'attenzione fugace, un fenomeno sempre più comune nell'era digitale; esse sono frammenti di un'osservazione che si interrompe bruscamente e come descrive perfettamente lo stesso Tentolini, "evocano la transitorietà di un respiro o di un battito di ciglia". Le opere sembrano sospese in un tempo indefinito, richiamando la sensazione di disorientamento che accompagna l'incapacità di concentrarsi su un singolo soggetto per un periodo prolungato. La scelta di rappresentare particolari di volti - nasi, bocche - sottolinea la parzialità della nostra percezione, sempre più incompleta e frammentata. In un mondo saturo di stimoli, "Lapse" ci ricorda la difficoltà di fermarsi e di cogliere il senso pieno delle cose, proponendo un'immagine del nostro rapporto con la realtà che è allo stesso tempo intima e sfuggente. 

Se "Lapse" ci mette di fronte alla fragilità dell'attenzione e della percezione, "Xenos" si confronta con il senso di estraneità e di smarrimento che caratterizza molte delle nostre esperienze relazionali, conducendoci nel territorio dell'alterità, dove il senso di dispersione e di assenza diventano dominanti. Le immagini, generate con l'ausilio dell'intelligenza artificiale, ricreano l'atmosfera delle chiusure delle sfilate di moda, dove i volti e i corpi appaiono sfocati, avvolti in un alone di incertezza. La nebbia visiva che avvolge queste immagini simboleggia il confine sfumato tra accoglienza e rifiuto, tra appartenenza e alienazione. 

Questa rappresentazione visiva riflette la condizione adolescenziale di sentirsi sempre in bilico tra l'essere parte di un gruppo e il sentirsi irrimediabilmente distanti dagli altri. "Xenos", termine che richiama sia l'idea di straniero sia quella di ospite, sottolinea questa ambiguità: i soggetti delle opere sono allo stesso tempo attratti e respinti, ideali di bellezza irraggiungibile e figure alienanti.  

Sia "Lapse" che "Xenos" affrontano temi legati alla percezione e all'identità, sfidando lo spettatore a confrontarsi con immagini che oscillano tra attrazione e distacco, tra bellezza ideale e inaccessibile. 

La mostra L’Ombra della Luce è una riflessione sull’esperienza umana e sulla sua complessità, dove la luce e l’ombra non sono più elementi contrapposti, ma parti di un tutto che si intrecciano e si completano. La mostra invita il pubblico ad immergersi in questo dialogo visivo, a scoprire la bellezza nascosta nelle ombre e a riconoscere la luce che le genera. 

In un mondo dove l'identità è sempre più fluida, le opere di Tentolini ci ricordano che la nostra storia, ciò che noi siamo stati e oggi siamo, sono il risultato di scambi e di mescolanze, come ne è perfetta attestazione anche la Sicilia. 

Come nei testi e nelle musiche di Franco Battiato, anche nelle opere di Giorgio Tentolini confluisce una babele di contaminazioni, di culture provenienti sia da occidente, che da oriente, attraverso intrecci a volte tangibili altre eterei, il tutto orientato ad indagare l'uomo, le sue infinite potenzialità espressive ed immaginifiche, avendo tuttavia ben presente che egli può percepire solo l'ombra della luce relativa al mistero della vita, nonostante sia altrettanto consapevole che solo attraverso tale limite si può arrivare a percepire la verità. 

Alberto Mattia Martini

Milano, 2 settembre 2024 


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