Nelle opere di Giorgio Tentolini, la memoria intangibile di sagome umane e naturali affiora come una labile traccia disincarnata, come presenze che emergono con la consistenza di ectoplasmi plasmate su vari supporti con una tecnica meticolosa e paziente, ispirata alla cadenze naturali, alle tempistiche delle mutazioni geologiche. Il suo passato professionale di grafico pubblicitario free-lance lo porta a lavorare con la trasposizione fotografica per cui l'immagine viene elaborata digitalmente e riportata su vari supporti, dai materiali di origine naturale e primordiale come il legno e la carta, a materiali di origine industriale, come acetati e plexiglas. Nelle sue Stratigrafie (2012), fogli di carta compressi si sovrappongono come strati geologici, dai più antichi e profondi, fino a quelli più recenti: l'artista plasma l'immagine estraendo il livelli di chiaroscuro della rielaborazione digitale di partenza e li intaglia uno a uno con bisturi e forbicine asportando tutte le parti stampate. Il risultato è una scultura incisa su livelli differenti di luce e ombra in cui la forma, estratta dalla stratificazione e dal concatenamento dei vari piani, acquista consistenza plastica grazie al taglio della luce e alla percezione dello spettatore. L'uso della stratificazione della materia come supporto nel suo caso non evoca il gesto istintivo dell'informale: l'artista pianifica in modo analitico un percorso per la progettazione del suo lavoro dove il risultato estetico deriva da un escamotage tecnico e da uno studio sul soggetto e rappresenta l'esito una serie di valutazioni pratiche e concettuali che occupano solamente la parte iniziale del suo lavoro. Il resto è tutta incredibile e meticolosa perizia tecnica, “metodica”, come sostiene l'artista stesso. Tentolini usa la fotografia come uno strumento neutrale per captare e fissare momenti fuggevoli del reale dal flusso incessante di infinite sollecitazioni visive, come il grado zero del suo lavoro, come uno strumento per recuperare il dato reale, ma poi procede alla sua interiorizzazione. Dalla labile traccia disincarnata, neutra e metafisica delle sue figure, dei frammenti diroccati di architetture incise a bassorilievo nella carta degli Extra muros (2010) si risale a ritroso, grazie alla funzione rivelatrice della luce, alla memoria profonda, quella sedimentata in un riposto angolo della memoria, grazie ad una percezione distante e distratta di un momento fugace. l movimenti del giovane danzatore dell'installazione Kairos/Kronos (2007), selezionata per partecipare alla Biennale dell'Europa e del Mediterraneo a Bari nel 2008, vengono captati nelle maglie metalliche delle reti sagomate seguendo le variazioni chiaroscurali dell'elaborazione digitale dell'immagine tramite un sapiente gioco di intagli. L'artista blocca questi momenti effimeri in strutture di legno, in un tempo misurato (Kronos) e scandito dalla serialità dei listelli...così la dimensione del tempo, il suo susseguirsi di attimi inafferrabili (Kairos) viene inserita in un contesto ambientale definito, in uno spazio percepibile all'occhio umano, offrendoci la possibilità di vederlo “scandire” sotto i nostri occhi. Nella serie degli Unknowns (2007), esposti alla collettiva Viewpoint nella S&G Gallery di Berlino nel 2008, partendo da questi “frammenti di tempo”, da questo spunto figurativo di partenza, Tentolini scava sul supporto di carta le ombre, e preleva la parte pigmentata stratificando le profondità. Ciò che emerge, in questo processo di neutralizzazione del dato intimo ed emozionale in un'atmosfera di atemporalità immanente, è la memoria profonda, non quella superficiale dell'impressione fotografica, sedimentata in bassorilievi incisi su blocchi di carta, sagome semplificate e astratte, disumanizzate, che tolgono riconoscibilità ai soggetti. Si tratta soltanto delle ultime prove di una ricerca che l'artista va approfondendo ormai da diversi anni attraverso installazioni, proiezioni luminose, stratigrafie di volti e corpi realizzate su supporti trasparenti o impresse sulla carta e sul legno. Nella serie di ritratti indigeni del Giuba esplorato (2006 – 2009), esposti in Palazzo Pigorini a Parma alla collettiva Confini nel 2006, l'anima dell'immagine emerge grazie ad singolare frazionamento della stampa fotografica su carta trasparente che, sezionata e tagliata, viene sostenuta da legnetti accostati recuperate dal pallet dei bancali. Nella serie di installazioni Net (2009 – 2010), esposte alla collettiva Compendia alla Gift Gallery di Londra, incide a moduli regolari seguendo la parte pigmentata del riporto fotografico su reti in PVC sovrapposte facendo emergere una figura labile e immateriale. Qui l'intreccio di numerosi nodi richiama le terminazioni nervose e i capillari di un corpo umano percorso interamente dalla luce che sfuma progressivamente da terra fino ad arrivare al viso in ombra della figura che perde i connotati della sua individualità per perdersi nell'indefinitezza dell'intreccio sociale. Con L'uomo che cammina (2012) questa tecnica raggiunge il massimo della sue espressività: l'incedere deciso della figura di un uomo ricavata dalla stratificazione della profondità di tre reti in PVC intagliate sembra voler sondare l'imponderabile dell'eterno, varcare la soglia che introduce in un'altra dimensione alla conquista della modernità, con un incedere che vanta illustri precedenti nella storia dell'arte, dalla cacciata dal Paradiso Terrestre di Masaccio nella Chiesa del Carmine a Firenze (1425) alle figure di operai in cerca di riscatto del Quarto stato di Pelizza da Volpedo (1901) fino all'Homme qui marche di Alberto Giacometti (1951) con la sua idea di tradurre in forma plastica l'ombra dell'uomo in un miraggio vuoto e fatuo.